domenica 21 settembre 2008
Un altro blog?!
Dopo molta osservazione della "blogosfera", con paricolare riferimento al business, ho deciso di dare un contributo.
In particolare mi sembra utile approfondire il confronto sulla consulenza per le PMI (Piccole Medie Imprese) in termini di strumenti di management ed in ambito strategico.
(Cartoon by Dave Walker. Find more cartoons you can freely re-use on your blog at We Blog Cartoons)
martedì 10 luglio 2007
Mi fa uno spot?
Fare una campagna pubblicitaria è complesso, perché bisogna:
- scegliere i “mezzi” (TV, etc.)
- determinarne frequenza e durata
- sviluppare il messaggio
- scegliere i “mezzi” (TV, etc.)
- determinarne frequenza e durata
Sviluppare il messaggio
Nella comunicazione vale ancora (a mio avviso) il vecchio principio Unilever (codificato nel manuale “UPGA - Unilever Plan for Good Advertising):
Innanzi tutto bisogna illustrare all’agenzia
Poi bisogna chiarire a quale tipologia di consumatori (target group) si intende offrire il prodotto, descrivendoli:
Infine bisogna discutere e concordare quale atmosfera (mood) ci si aspetta e quale trattamento in generale si ritiene più adatto.
Ovviamente l'agenzia è più esperta nell'uso dei linguaggi, però può avere la tentazione di fare l'opera d'arte che vince i premi ai festival, piuttosto che un lavoro efficace (che vende il prodotto") ed efficiente (al giusto costo).
Questo processo, se ogni attore da il miglior contributo, è determinante per ottenere un comunicato eccellente.
E questo è "come".
Ognuno degli aspetti descritti, deve fondarsi su dati "oggettivi" di ricerche di mercato, fatte su utilizzatori (usership) attuali o potenziali ed essere parte della strategia di marketing del prodotto in questione, discussa ed approvata dall'azienda; assolutamente mai possono derivare da un atteggiamento wannabe.
Nel prossimo post tratteremo di mezzi (media) e campagne.
Nella comunicazione vale ancora (a mio avviso) il vecchio principio Unilever (codificato nel manuale “UPGA - Unilever Plan for Good Advertising):
- l’azienda stabilisce il “che cosa”
- l’agenzia stabilisce il “come”
Innanzi tutto bisogna illustrare all’agenzia
- che cos’è il prodotto (o servizio), il concetto di prodotto (o product concept), cioè l’idea in sintesi che sta alla base del prodotto
- qual è il beneficio per il consumatore (consumer benefit: perché dovrebbe comprare il prodotto)
- se possibile la ragione per cui questo benefit è disponibile (reason why: per es. ingredienti particolari)
- nel caso più fortunato anche il modo di verificare la reason why (supporting evidence: prova a sostegno, per es. la visibilità di un ingrediente)
Poi bisogna chiarire a quale tipologia di consumatori (target group) si intende offrire il prodotto, descrivendoli:
- in termini sociodemografici (% di maschi e femmine, classi di età, titolo di studio, livello economico, ampiezza centri residenza, etc.)
- se possibile, anche in termini di stili di vita (v. ad es. classificazione di Eurisko)
- eventualmente precisando quali altri prodotti simili o diversi utilizzano
Infine bisogna discutere e concordare quale atmosfera (mood) ci si aspetta e quale trattamento in generale si ritiene più adatto.
Ovviamente l'agenzia è più esperta nell'uso dei linguaggi, però può avere la tentazione di fare l'opera d'arte che vince i premi ai festival, piuttosto che un lavoro efficace (che vende il prodotto") ed efficiente (al giusto costo).
Questo processo, se ogni attore da il miglior contributo, è determinante per ottenere un comunicato eccellente.
E questo è "come".
Ognuno degli aspetti descritti, deve fondarsi su dati "oggettivi" di ricerche di mercato, fatte su utilizzatori (usership) attuali o potenziali ed essere parte della strategia di marketing del prodotto in questione, discussa ed approvata dall'azienda; assolutamente mai possono derivare da un atteggiamento wannabe.
Nel prossimo post tratteremo di mezzi (media) e campagne.
venerdì 6 luglio 2007
Quando è utile saper pareggiare
Il livello di fatturato al quale l’azienda è in pareggio, cioè non realizza né profitti né perdite, è detto “punto di pareggio” o in inglese “break even point” (abbreviato in “bep”).
Se lo conosci lo eviti, ovvero fai di tutto perché il fatturato non scenda a quel livello o peggio al di sotto.
Ma come si fa a stimarlo? È semplice: prendiamo un conto economico in pareggio, con il minimo delle voci e col fatturato uguale a 100 (€, o migliaia di €, o milioni di €...), così che tutte le voci corrispondano anche alla percentuale sul fatturato.
Se lo conosci lo eviti, ovvero fai di tutto perché il fatturato non scenda a quel livello o peggio al di sotto.
Ma come si fa a stimarlo? È semplice: prendiamo un conto economico in pareggio, con il minimo delle voci e col fatturato uguale a 100 (€, o migliaia di €, o milioni di €...), così che tutte le voci corrispondano anche alla percentuale sul fatturato.
Fatturato | 100 |
Totale costi variabili | 70 |
Contribuzione | 30 |
Totale costi fissi | 30 |
Utile / Perdita | 0 |
Vediamo che per realizzare il pareggio la contribuzione deve essere pari al totale dei costi fissi, sia in valore assoluto che in percentuale.
Pertanto per determinare il fatturato di pareggio si prende il totale dei costi fissi e lo si divide per il margine di contribuzione.
Se ad esempio i costi fissi sono pari a 225.000 € ed il margine è pari al 30%, si calcola:
Pertanto per determinare il fatturato di pareggio si prende il totale dei costi fissi e lo si divide per il margine di contribuzione.
Se ad esempio i costi fissi sono pari a 225.000 € ed il margine è pari al 30%, si calcola:
225.000/30% (ovvero 225.000/0,30)=750.000 €
Infatti:
| Valori in € | Valori in % |
Fatturato | 750.000 | 100,0 |
Totale costi variabili | 525.000 | 70,0 |
Contribuzione | 225.000 | 30,0 |
Totale costi fissi | 225.000 | 30,0 |
Utile / Perdita | 0 | 0 |
Un consulente? No, grazie!
Molto spesso i proprietari o gli amministratori di aziende non si rivolgono ad un consulente, principalmente per tre motivi:
- credono che le grandi società di consulenza siano estremamente costose e forniscano contributi meramente teorici (ed entrambe le cose possono essere vere)
- hanno un pregiudizio circa la preparazione di un consulente indipendente (ed anche ciò può essere giustificato)
- ritengono che coinvolgere un consulente sia un’ammissione implicita della propria inadeguatezza di fronte alle sfide di business
Le prime due preoccupazioni possono essere risolte:
- identificando con attenzione ed in dettaglio quale problema si intende valutare
- stabilendo quale contributo ci si aspetta di ottenere
- interpellando più di una società di consulenza o più di un consulente indipendente, ai quali richiedere piani analitici di intervento e previsioni chiare di costi
- esigendo il curriculum di tutti coloro che dovranno assistere l'azienda
Per quanto riguarda la terza preoccupazione, dobbiamo ricordare i principali benefici che un consulente può offrire ad un’azienda:
- una valutazione indipendente
- nuove conoscenze e competenze
- un contributo alla realizzazione del cambiamento
- un contributo alla gestione dell'equilibrio dinamico tra presente e futuro
- la formazione del management
- la disponibilità di capacità produttiva (progettuale n.d.r.) temporanea
- la validazione di una soluzione già individuata da un manager o da un gruppo
- supporto per la preparazione, la documentazione e la presentazione di proposte ai Consigli di amministrazione
Un altro blog?!
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